Cara Mariella
Alberini,
siamo
completamente impreparati a sostenere la società multirazziale nella quale siamo
immersi da decenni. Un fenomeno che si è già manifestato oltre cinquant’anni
fa, sia pure in piccole proporzioni. E adesso nessuno sa come affrontare l’orda
immane già calata sul nostro territorio…
Lettera
firmata, ricevuta via e-mail
Carissimo lettore,
il proverbiale provincialismo italiano ci perseguita
da sempre, ma soprattutto dal governo De Gasperi in poi abbiamo avuto, fino
agli anni ottanta, Ministri degli Esteri che non parlavano alcuna lingua
straniera, neppure l’inglese. Il primo che lo parlava abbastanza bene è stato Emilio
Colombo.
Il cinema italiano anni cinquanta, un meraviglioso
cinema in bianco e nero, sottolineava il provincialismo dell’Italietta ancora
campagnola. Oggi quel cinema non esiste più: abbiamo una serie di film
regionali con modesti attori e attrici che hanno la pessima abitudine di
mettere in mostra soprattutto la loro generosa “mercanzia”. Peccato: nessun
confronto con le grandi signore dall’abbigliamento sobrio e già internazionale
del cinema inglese o americano.
L’arrivo massiccio di Eritrei e Somali in fuga dalla
guerra perpetua sul loro territorio è incominciato dall’inizio degli Anni
cinquanta. Venivano assunti senza
documenti come domestici e, loro sì, sovente si esprimevano in inglese e anche
in italiano perché i loro padri, memori abbastanza grati dell’impero coloniale
italico, glielo avevano insegnato.
Oggi dalla capitale
in giù si perpetua una chiusura all’internazionalismo ormai diffuso in tutto il
mondo occidentale in atto da anni e dovuto alla globalizzazione. Sarebbe
indispensabile che Comuni, Province, Regioni, Ministero della Cultura e tutti
gli altri Enti proposti si occupassero in modo dinamico di trovare una
sorta di integrazione con la società
italiana per tutte le numerose etnie presenti sul territorio.
Ma non basta. Dovrebbero intervenire in modo più
aggregante i Parroci per aiutare gli immigrati non solo di religione cattolica
ad integrarsi con i giovani italiani. Inoltre importantissimo sarebbe
responsabilizzare gli immigrati che lavorano e fruiscono del welfare italiano e
invece restano fuori a pretendere, a guadagnare senza alcun senso di
gratitudine nei confronti dell’Italia e degli Italiani che li assumono con
lauti stipendi soprattutto nel campo della collaborazione domestica.
Gli Inglesi hanno copiato la multinazionalità
dell’Impero Romano: Britanni come Galli, Siriani come Fenici, Numidi come
Bitini ricevevano in premio la cittadinanza romana se si dimostravano fedeli
all’Impero.
Cives romanus sum era il massimo del vanto per i
lontani sudditi di quell’Impero plurinazionale.
m.alberini@iol.it