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martedì 16 novembre 2010

Figli che odiano le madri




A Sarah Scazzi piaceva fuggire la presenza di sua madre: forse non la conosceva abbastanza o forse non l’amava. Preferiva passare molto tempo nella casa degli zii che per lei si è trasformata in trappola mortale. Numerosissimi sono gli episodi di figli che odiano genitori innocenti. Non pochi arrivano persino ad ucciderli. Molti preferiscono coltivare aride amicizie con estranei che si rivelano sovente dannose.
Da molti anni, assisto al dolore di un infinito numero di madri massacrate dall’assenza di gratitudine, di amore,  di protezione filiale quando ormai sono in età avanzata e, non solo non vengono aiutate a sopravvivere, ma sono abbandonate come fossero estranee o peggio nemiche. E’ un fenomeno sempre in aumento in assurdo parallelo all’ottima qualità di vita raggiunta nel mondo occidentale e di conseguenza ai maggiori privilegi goduti proprio dai figli più ingrati e insensibili.  Forse quei figli non sanno quanto male fanno: la sofferenza morale può provocare danni irreparabili alla salute di madri non più giovani. Chi scrive ha amato sua madre in modo totale colmo di felice abnegazione e di ammirazione per una donna, della quale riconoscevo la forza d’animo, lo spirito di sacrificio, il senso di grande dignità. Ancora la ringrazio per la severa educazione ricevuta e la profondità di sentimenti trasmessami. Anche se non immune da errori di valutazione che mi riguardavano, l’ho sempre assolta poiché certa della sua buona fede. Al contrario di quanto avviene oggi nei figli sempre pronti a dare la croce addosso alle madri che sono bersagli  facili da colpire.
Cito un episodio per me indimenticabile che può essere un esempio del sentimento di amore filiale per chi lo disdegna. 
Un giorno in cui mi trovai per caso a Lenno, paesino sul lago di Como, e incominciai a salire, quasi inconscia, ma a passo di carica, le stradine verso Masnate, una borgata a mezza costa.
Nell'aria della sera domina il profumo dei campi, dei fiori, del fieno appena falciato. E io cammino sui ciottoli lucidi che sopravvivono alle generazioni alla ricerca della casa della mia infanzia e delle anime dei miei morti. Non so dove vado, però vado e pongo domande insensate, ai rari abitanti che incontro: se per caso hanno conosciuto una famiglia così e così che ha vissuto a Masnate fino al 1960. È, infine, una comare ultrasettantenne dal viso allegro che si ricorda della signora con le trecce bionde e delle sue tre bambine. "Quella signora che abitava al " Palazzo "? Sì, deve salire ancora e poi svoltare a sinistra". Il mio cuore è in subbuglio. Le lacrime scorrono tanto copiose da rendere indistinto  il percorso.  E ci arrivo al "Palazzo ". Una vecchia casa dai muri spessi con il portone chiuso da una sbarra arrugginita e sopra quello un'immagine sacra molto scrostata. Dietro il portone so che esiste un angolo di giardino incolto e una bambinadi quattro anni in calzoni corti seduta sul muretto a secco che si è tolta un sandalo.  Dalla poltrona sotto l'albero di fichi, la signora dalle trecce bionde la sorveglia levando lo sguardo dal cucito. Le protegge  la casa dai vecchi muri che racchiudono stanze grandi dai soffitti a cassettone, pavimenti di pietra viva e antiche scale dalla balaustra di legno. Ecco la casa dell’infanzia: riposta in un angolo della memoria improvvisamente ritorna e, grazie a loro, i miei morti, non potrebbe essere più stimolatrice di sogni. Il cielo è limpido e il sole sta calando, ma io sono qui, sola, davanti a quel portone chiuso.  
Scrivo queste parole per quei figli che non capiscono di quale meraviglioso sentimento si privano: il più perfetto tessuto di infinito.
Sono le uniche parole che vengono in mente quando si ascoltano le tristi storie delle madri odiate da figli che hanno avuto tutto, preso tutto e non solo non conoscono la parola gratitudine, ma si accaniscono contro di loro con una ferocia che esiste solo nel mondo degli esseri umani, non certo in quello degli animali. Persino Maria de’ Medici, regina reggente di Francia che tanto lottò per conservare il trono a suo figlio Luigi XIII, venne da lui contrastata, esiliata e morì in solitudine a Colonia nella casa di Pietr Paul Rubens, il grande artista del quale aveva esaltato le opere.
Vi è una sorta di barbarie nella mancanza di sentimento di quei figli che, senza alcuna giustificazione, infieriscono con incomprensibile cattiveria sull’unica persona al mondo che più li ha amati, accuditi, curati, consolati, beneficati. Donne sofferenti al ricordo dei primi momenti di vita di teneri cuccioli umani dagli occhi stupiti, con i quali hanno vissuto in simbiosi  ricoprendoli di mille attenzioni dolcissime. Oggi, in quegli adulti aggressivi e dai volti deformati da inconcepibile astio, non riescono a riconoscere i loro bambini.
E’ quindi  doveroso dare voce a testimonianze sofferte e registrare racconti di madri dolenti, colpite con crudeltà inimmaginabile dai loro figli. Madri che hanno dato a quei figli quanto di meglio avevano. E non soltanto dal punto di vista materiale, ma soprattutto da quello affettivo, morale, culturale. Madri che sono state mogli infelici sacrificando anni di giovinezza per non togliere i figli ad un padre comunque assente. Ma quei figli non vogliono compensare con l’amore tanti anni di vita durissima. Quei figli credono di poter giudicare la madre, sovente colpita da calunnia, e non ammettono di essere giudicati: incapaci di perdono, forse non capiranno mai l’ingiustizia compiuta.
Osservando le meraviglie della natura dove i colori si fondono in tonalità perfette, sembra impossibile che l’amore più puro e altruistico di una madre venga brutalizzato dall’ingratitudine insensibile di un figlio allevato secondo le migliori intenzioni.
Quei figli suscitano la nostra compassione poiché  odiando la madre si fanno del male. Le parole che ho ascoltato sono state pronunciate da donne di oggi con il  cuore e l’anima sofferenti quasi al termine del passaggio terreno. Sono parole che nascono dalle viscere che hanno nutrito e portato alla luce  quei figli in lotta contro se stessi.