cover blog M Alberini

domenica 18 dicembre 2011

LA SIGNORA DELLE LUCCIOLE, di Mariella Alberini - INTERVISTA all'AUTRICE


Pubblicato su affaritaliani.it il 3 novembre 2011



Dopo il successo di "otto simboli mongoli" Affaritaliani.it pubblica a puntate "La signore delle lucciole", un thriller politico dell'autrice Mariella Alberini. Ogni settimana verranno messi in rete due capitoli. Di seguito l'intervista all'autrice.
"La signora delle lucciole", pubblicato da Mursia, è il primo dei quattro romanzi di ambientazione italiana. Lei li definisce 'political thriller', perché?
"Tutti i miei romanzi si ispirano a situazione politiche che fanno da sfondo all'avventura dell'intreccio. Ho lavorato dieci anni in politica e sono abbastanza esperta anche di politica estera. Gli avvocati scrivono legal thriller e io scrivo dell'argomento che più conosco a fondo".
Il libro però ha anche dei momenti divertenti….
"Questo libro è molto divertente, anzi esilarante, poiché tutta la parte politica e sociale è basata sulla satira. Spero possa divertire i lettori di Affaritaliani.it come è accaduto quando è stato pubblicato".

"La signora delle lucciole" è ambientato durante il craxismo. La corruzione che sta minando le fondamenta dell'Italia di oggi affonda le radici in quegli anni?
"Direi che la corruzione esiste da sempre. Non è il caso di addossarla al craxisimo. Esisteva ai tempi della Democrazia Cristiana come adesso: mi pare che una buona porzione del mondo dei politicanti sia in possesso di un avviso di garanzia".

Lei ha dedicati il libro a Gianni Brera e l'ha scritto dopo averne discusso insieme al figlio, Carlo, scomparso prematuramente. Qual era il suo rapporto con Gianni e Carlo Brera?
"Carlo era un uomo molto simpatico e spiritoso. Ci siamo molto divertiti a mettere insieme questo plot, ma, purtroppo è mancato prima della pubblicazione del romanzo. Il grande Gianni Brera è stato per me un padre professionale, un mentore, mi ha insegnato a scrivere come scrivo e sentirò sempre la sua mancanza".


Premessa

Nel 1999 mi resi conto che da troppi anni non mi ero dedicata alla scrittura di romanzi: quei thriller internazionali che, dopo lunghe ricerche, mi piace tanto elaborare. Il primo, pubblicato nel 1987, aveva avuto un discreto successo di critica e di pubblico, oltre a due opzioni pagate da note case di produzione cinematografica. Così, dopo lunghi anni dedicati ai rapporti internazionali di politica estera, pensai che era meglio non trascurare oltre il grande piacere di appartarmi con il computer. Risultato: altri due romanzi usciti a un anno di distanza e un quarto da presentare al mio editore.

Alcuni mesi fa, ho ritrovato la prima stesura di questo piccolo romanzo criminal-burlesco, una satira dove si scherza su tutto: risultato di simpatiche e accese discussioni pomeridiane tra me e Carlo Brera durante un periodo di reciproca pausa di lavoro. Lui aveva smesso di tradurre Wilbur Smith e, un anno prima, era uscito il suo esilarante romanzo giallo "La fortunata mattina di un venditore di libri senza padre". Intanto io avevo pubblicato " Smeraldi e Polvere".

Ricordo quei pomeriggi densi di risate, di frizzi, di battute e di qualche battibecco sulla costruzione di questo "plot", del quale sovente lui non condivideva le mie invenzioni e io le sue. Intossicata dal fumo delle sue "celtiques", o forse erano "gitanes", tossivo e spalancavo le finestre di tutta la casa tentando di creare correnti che rendessero respirabile l'aria.

Lo vedo ancora seduto sul divano di fronte che, implacabile, fuma una sigaretta dietro l'altra. E, solo dopo molte suppliche, si trasferisce sul terrazzo per regalarmi un po' di tregua da fumo passivo.

Quegli appunti li ho ritrovati in un cassetto pochi mesi prima della pubblicazione di " Oblio Numero 5". Li ho riletti attentamente e ho deciso di riscriverli a computer modificando, tagliando e aggiungendo nella speranza che possano diventare un breve romanzo strappa sorriso per ricordare Carlo che purtroppo non c'è più. Il linguaggio è rimasto volutamente goliardico o liceale: diverso dal tono dei miei thriller. Però mi piace così augurandomi che divertirà i lettori almeno quanto mi sono divertita io a scriverlo e a riscriverlo.

Carlo Brera, scrittore, pittore, scultore e giornalista, il quale, se non fosse scomparso giovanissimo, avrebbe potuto elargirci numerosi romanzi, degni della sua inesauribile vena umoristica.

Il grande Gianni Brera, suo padre, conosceva bene il suo talento e diceva " a quel ragazzo piace troppo l'arte". Forse avrebbe voluto che Carlo compisse una scelta decisiva fra scrittura, pittura e scultura. Ma lui preferiva continuare a mescolare le sue creazioni letterarie, pittoriche e scultoree rintanandosi nello studio di corso Garibaldi.

Giovanni Brera, il meraviglioso giornalista amato, ammirato, apprezzato e premiato, mio compianto, generoso maestro di scrittura, il cui spirito è ancora presente dietro le mie spalle non soltanto quando sono al computer.

Ricordo quelle serate del giovedì al "Riccione", il ristorante dove, con gli intellettuali della "pelota" (così li definiva ), ho presenziato a qualche cena rigorosamente riservata a bipedi di sesso maschile. Dopo, lui, Tai Missoni, Ledda e altri si mettevano al tavolo del tresette e io, senza dare nell'occhio, chiamavo un taxi. E quella stupenda prefazione che scrisse dando lustro al mio primo libro. Un pezzo di pregevolissima letteratura, impregnato del suo acutissimo umorismo mai scevro di affettuoso omaggio cavalleresco.

Quanto mi manchi, caro amico. Sono e sempre resterò orfana dei tuoi consigli. Per me, che ne sono rimasta priva molto giovane, sei stato come un padre nella professione e nella vita.

Mariella Alberini



La prefazione di Vittorio Feltri

Mariella Alberini è il profumo di Milano. Non per me. Lo è e basta.
Lo dico come uno che da una vita arriva tutti i giorni dalle parti del Duomo, e ci lavora e ci dorme spesso, ma
conosce il piacere di tornare a casa, a mezza costa sulle montagne orobiche. A Milano ci vado un po' come Renzo nei Promessi Sposi, è la mia capitale e insieme resta un po' forestiera. Vicina e distante. Da Ponteranica ci si vede meglio: e la Alberini è il profumo di Milano. La sua essenza, quella cui deve attingere se vuole rinascere (e può, se vuole).

Mi ha sempre colpito come per i milanesi Milano sia maschile: "El Grand Milàn", sfidando le regole che prevedono un'unica eccezione scritta sui sussidiari delle elementari, Il Cairo. Ma - e questo vale anche per Il Cairo - è un trucco. Un po' come quello che, in questo splendido ronanzo,deve praticare lo stilista Ermengardo, il quale deve travestire la sua identità sessuale per avere successo nel mondo dei danee. Allo stesso modo, i milanesi fingono che il loro fare abbia un connotato soltanto virile, ma sanno bene di essere in regime di matriarcato. Esattamente come Il Cairo, il quale è tutto dentro il fascino di Nefertiti. A Milano la donna è tutto, proprio mentre finge di sparire. Non è la mamma apostolica e napoletana. La donna qui vigila dall' alto tutta d'oro (ed è la Madonnina, c'è bisogno di dirlo?), e domina più in basso, molto più in basso, nel grembo stesso delle cose. Ci avete fatto caso che persino la Madonna che sta sulla guglia più alta, non ha nulla a che fare con le sorelle a mani giunte e aria trasognata che corrispondono alle devozioni altrui? Quella di Milano ha le braccia aperte, e un tantino anche le maniche rimboccate. Come dicesse: "Su, dem, moves", dai, muoviti.
Ecco la Alberini è il profumo di Milano, quando essa diventa donna, accetta cioè di essere se stessa. Stendhal parlava di certi cortili di Milano, dei suoi giardini segreti, e restava incantato da questa bellezza e allora diceva di essere milanese. Pensava sì alle dimore, ovvio. Ma che cosa sono le case, se non l'altra forma della donna, che trasferisce nell' aria il proprio sentimento dell'essere? In questo senso se Milano è maschile è perché le donne vogliono così.
Mi vergogno un po' di presentare questo nuovo libro di Mariella, firmato con lo scomparso Carlo Brera, dopo che fu Gianni Brera a introdurre il suo primo romanzo. Lui, leggendo queste pagine, sarebbe orgoglioso oltre che dell'amica e allieva, anche del figlio. Dentro c'è la vita fremente delle sue terre, che sanno amalgamare uomini e culture come accade ai chicchi nel risotto alla milanese: sono insieme ma ciascuno è distinto, mantecati.
Così il commissario siciliano resta se stesso ma nello zafferano che dà un colore nuovo a tutto, persino all'intrigo, al delitto. Ecco, all'alcova. La Alberini sa descrivere con straordinaria leggerezza e senza alcun senso di colpa, com'è l'amore a Milano, quello frettoloso e quello profondo (ahimè mai abbastanza profondo, mai totalmente gratuito).
Si intravede dentro la trama avvincente, e ci vorrebbe un grande regista per farne un film degno, il clima sociale di Milano. C'è nelle righe un sobrio rimpianto per i commendatori che saranno stati di moralità dubbia, però le cose le facevano. Ora pare che quasi più nulla facciano, intorpiditi forse dalla disillusione. La si avverte nelle pagine, scritte nient'affatto con stile goliardico, come minimizza la scrittrice, ma con un piglio da Wilbur Smith sui Navigli. Disillusione, dicevo. La Alberini è stata la prima a capire, nella stretta cerchia della borghesia milanese pensante, la necessità di mutamento, quasi di rivoluzione che sul finire degli anni Ottanta Milano esigeva per salvarsi. Si è impegnata per questo, senza aspettarsi nulla e senza nulla avere, ma lasciando la sua impronta. Poche cose sono andate per il verso giusto, e Mariella è stata ancora la prima ad avvedersene. Mi piace salutare, con questo suo nuovo libro, il ritrovato profumo di Milano, la determinazione di cui ha bisogno per essere davvero la Rinascente.